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Chia e la Torre di Pasolini

Foto di Hans Braxmeier da Pixabay

La torre medioevale è l’obiettivo: i passi sono morbidi e silenziosi, sullo spesso tappeto di foglie multicolor, mentre ci si incammina nel bosco generoso di querce, felci, ginestre, di questa porzione di territorio che sta a Chia, comune di Soriano del Cimino, Viterbo. Esattamente qui è Colle Casale, poco più di un’ora da Roma, ci si arriva percorrendo la via Ortana dopo aver lasciato l’autostrada A1

La Torre di Chia è sottile sottile nei suoi 42 metri, con quella sua particolare forma pentagonale. La si vede in lontananza, anche dalla strada: spicca tra i caldi colori del bosco in una soleggiata giornata di inizio inverno. Una mirabile visione, davvero, mentre tra i rami delle tantissime querce protagoniste di questo punto verde ora arancio-marrone-terra bruciata-senape, colpisce anche la gran quantità di quelle che sembrano melette color ruggine: sono le galle, sorprendenti abitazioni abbandonate di vespette che depositano qui le loro larve fino a quando, una volta adulte, se ne vanno via, lasciando queste incredibili testimonianze della loro presenza.

La Torre di Chia si erge su uno sperone tufaceo

La costruzione (di cui si ha notizia ufficiale sicuramente dal 1260), abbarbicata a quel che resta di mura merlate di origine ghibellina, è conosciuta come la Torre di Pasolini: il regista infatti si innamorò letteralmente del posto mentre alla fine degli anni sessanta del secolo scorso girava “Il Vangelo secondo Matteo”, riuscendo poi a comprare l’area, recuperandola e costruendoci una casa con grandi vetrate in piena armonia con l’esuberante natura tutto intorno.

E non si può non sentire la malìa di questo luogo, tanto più che per raggiungere la torre si costeggia un torrente affluente del Tevere, il Fosso Castello, che gironzola e si insinua tra il tufo abbandonato in gran quantità dal Monte Cimino, il vulcano la cui attività è terminata circa 800mila anni fa. L’acqua si è divertita e ha scavato la roccia, disegnando forme insolite e cascatelle di varia altezza che rendono il paesaggio fiabesco. Sì, da qualcuno di quegli insoliti anfratti potrebbe sbucar fuori qualche fata curiosa o magari uno gnometto impertinente, pronto a scherzetti vari nei confronti di chi passa di là… Un incanto. Qua e là ci sono anche camminamenti e scale scavati nel tufo: del resto la zona non era certo sfuggita ai Romani e agli Etruschi prima di loro, che ne hanno fatto centro di mulini e tombe talvolta svelati dalla vegetazione.

In silenzio al cospetto della Torre di Chia

Al cospetto della Torre di Chia si sta in silenzio: è davvero maestosa, anche se viene facile sbirciare tra le fessure del pesante cancello che chiude agli occhi il buen retiro di Pier Paolo Pasolini.

Purtroppo nella magia non sfugge all’attenzione un po’ di accumulo di schiuma sospetta tra l’acqua e le rocce del torrente: poca, ma c’è, schifezza che arriva da qualche scarico industriale a monte. Sentite che diceva Pasolini durante un’intervista rilasciata a Gideon Bachmann per il Messaggero di domenica 22 settembre 1974. “Prendi l’esempio di questo ruscello quaggiù. Vedi quella schiuma che copre l’acqua? Certi giorni è ancora peggio. Viene da una fabbrica lassù. Il proprietario sa bene che è abusivo questo uso dell’acqua pubblica. Ma lui dice alle autorità: “Se mi fate costruire un impianto di purificazione, mi costa troppo e devo chiudere la baracca”. Così i suoi dodici operai verrebbero licenziati. In Italia vogliamo le cose subito, brutalmente. Non si ha il tempo o il gusto di promuovere il progresso con coscienza”.

La forza della bellezza: tutto ha un valore

Pasolini in prima linea come ecologista che, colpito dall’amore per la Torre di Chia, pensa a salvare tutta la Tuscia, lasciandola illesa dalle speculazioni, concependo, dice sempre nella citata intervista  “uno sviluppo “diverso” per una regione povera non ancora toccata dall’industrializzazione, magari creando un’università sul genere di quella per stranieri di Perugia. “Viterbo è molto piccola, poco più di un grande paese”, dice Pasolini. “Per una città che non ha altre risorse, sarebbe anche una soluzione economica. Osti, albergatori e commercianti dovrebbero essere interessati alla cosa. E gli effetti sarebbero benefici per tutta la regione, soprattutto ai fini della difesa del paesaggio”. E ancora: “Il problema è di salvare l’intera figura della regione, della città, non quei quattro palazzi più belli. C’è da salvare la città nella natura. (…) Le cose essenziali, nuove, da costruire, non dovrebbero essere messe addosso al vecchio. Basterebbe un minimo di programmazione. Viterbo è ancora in tempo per fare certe cose. (…) Quel che va difeso è tutto il patrimonio nella sua interezza. Tutto, tutto ha un valore: vale un muretto, vale una loggia, vale un tabernacolo, vale un casale agricolo. Ci sono casali stupendi che dovrebbero essere difesi come una chiesa o come un castello…

Per riacquistare, come ripeteva spesso, il senso della bellezza e dei valori. A proposito: l’università della Tuscia nasce nel 1979. Pasolini muore il 2 novembre 1975.

Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti/che io vorrei essere/scrittore di musica/vivere con degli strumenti/dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare/nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto/sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta innocenza di querce, colli, acque e botri/e lì comporre musica/l’unica azione espressiva/forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà”.

Le parole dedicate da Pasolini alla sua Torre, ne “Poeta delle ceneri – Tutte le poesie”, Garzanti

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