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Freedom Farm Sanctuary, la fattoria della libertà

Freedom Farm Sanctuary, la fattoria della libertà
Freedom Farm Sanctuary, la fattoria della libertà

La Freedom Farm che si trova in Israele, a Moshav Olesh, è un Santuario, forse unico posto al mondo nel suo genere, in cui vengono accolti e curati animali con disabilità

Una vera e propria fattoria della libertà perché gli animali, che sembravano destinati a una vita in gabbia, in condizioni spesso atroci e terribili, sicuramente non dignitose per un qualsiasi essere vivente, attraverso le cure di chi amorevolmente ci lavora, vengono riabituati alla natura, la loro casa, ma che la maggior parte delle volte neanche conoscono o a cui fanno fatica ad abituarsi perché geneticamente modificati.

Così passano dallo stare rinchiusi in gabbie strette e brutali, allo scorrazzare liberi fra la vegetazione e l’aria pulita. Fondata da due amanti degli animali, Adit Romano un’ex dirigente e Meital Ben Ari, professionista dell’hi-tech, la Freedom Farm si basa sul volontariato e sulle donazioni che le hanno permesso di diventare una grande e importante realtà, tutta al femminile, arrivando ad ospitare ormai circa 200 animali tra i quali alcuni salvati dalla macellazione, altri recuperati perché abbandonati dai propri padroni, altri ancora portati lì da agricoltori, perché ormai non più utili.

Una realtà importante quella della Freedom Farm, nata con lo scopo di aiutare, ma anche di sensibilizzare su temi ancora poco noti, come quello dell’industria dell’alimentazione e dello sfruttamento di questi animali considerati solo in base a ciò che producono e non in quanto esseri viventi. Esseri viventi che come tutti gli altri, hanno il diritto ad avere una vita dignitosa.

Freedom Farm Sanctuary, la fattoria della libertà

Diritto che da soli non possono esprimere e pretendere, ma che realtà come quelle della Freedom Farm possono aiutare a far emergere. Ed è dalle stesse parole di Esther Zanda, ragazza di 25 anni, laureata in Scienze politiche ma con la forte passione del viaggio e un profondo rapporto con la natura e gli animali, e una sensibilità tale da averla portata fino al Santuario in Israele, che possiamo percepire quanto sia importante l’esistenza di luoghi come questo, per capire quanto ciascuno di noi possa incidere sugli eventi che troppo spesso ci appaiono come distanti, eventi che possono esser cambiati anche solo attraverso un po’ di consapevolezza in più, per poter decidere sempre di vivere in un mondo che si basi sul rispetto di tutti gli esseri viventi, compresi gli animali.

Esther come hai scoperto la Freedom Farm in Israele?

Il progetto cui presi parte prima di partire in Israele era uno SVE (Servizio Volontario Europeo) presso l’Akdeniz Üçüncü Göz Eğitim ve Gençlik Derneği, un’associazione no-profit situata a Mersin, nel sud della Turchia e avente come principali obiettivi l’ambiente e la salvaguardia delle tartarughe marine a rischio nell’area in questione.

Poco prima che terminasse, io e una mia coinquilina con la quale condividevo l’esperienza, stavamo cercando qualcosa da fare subito dopo. Alla fine dopo varie ricerche anche attraverso qualche pagina web come scambi europei, abbiamo trovato l’occasione per fare quello che poi è il Servizio Civile Internazionale.

C’era la possibilità di partire in Kenya, Perù e tanti altri posti con diversi progetti. Tra questi c’era quello della Freedom Farm in Israele. L’idea di poter lavorare in un posto del genere ci è piaciuta sin da subito, ma le domande per partecipare sarebbero scadute di lì a poche ore. Comunque, alla fine ci siamo riuscite e siamo state selezionate per i colloqui che si sarebbero tenuti a Roma successivamente.

Mai mi sarei aspettata che fra tanta gente, alla fine, mi avrebbero scelta. E invece, alla fine ce l’ho fatta e sono partita e presi parte al progetto nella Freedom Farm in Israele. La Freedom Farm è un Santuario, un luogo in cui gli animali sfruttati dalle grandi industrie per produrre, vengono accolti per essere accuditi, curati e riabituati a stare in mezzo alla natura. Io però non mi immaginavo che esistesse un posto in cui diversi tipi di animali come cavalli, asini, capre, mucche, galline ecc., stanno tutti insieme.

Di solito ti viene in mente un Santuario con una sola tipologia di animale, come ad esempio quelli che ospitano gli asinelli in Sardegna e invece la Freedom Farm è una grande realtà che li ospita tutti quanti insieme. Quest’anno si è anche allargata e gli animali ospitati sono arrivati a 200 circa. L’hanno fondata due donne e si lavora principalmente tra donne, perché alla fine siamo forti, nonostante ci sia tanto lavoro fisico da fare, un duro lavoro, scopri fino a dove si spinge la forza delle donne, anche se in fondo noi lo sappiamo già questo!

Gli animali che accoglievamo erano tanti e venivano da diverse situazioni. Alcuni sarebbero serviti per la carne, altri geneticamente modificati, per vivisezione altri ancora magari venivano usati in piccole realtà come quelle di comunità povere per trasportare dei carichi. Io non punto il dito verso nessuno, ma penso che ci sia una differenza tra lo sfruttamento di questi animali da parte di grandi industrie che attraverso loro si arricchiscono, rispetto a piccole popolazioni più povere che invece in queste maniere cercano semplicemente di sopravvivere. E questo nonostante la sofferenza provata nel vedere le condizioni in cui arrivavano alcuni di loro, magari senza una gamba, come ci è capitato.

Qual è stata la tua formazione precedente e le esperienze che ti hanno portata fino a lì?

Per quanto riguarda i miei studi, probabilmente non si possono ritenere esattamente in linea con quello che poi ho scelto di fare dopo. Mi sono infatti laureata in scienze politiche, in relazioni internazionali. Ma la vita a volte è strana e ad un certo punto ti pone davanti agli eventi vissuti, mostrandoteli come se fossero collegati esattamente l’uno all’altro. Pensandoci, in effetti, è molto interessante questa cosa. Penso ad esempio che sin da piccola non mangiavo la carne e senza essere influenzata dai miei genitori che invece ne mangiavano.

Tuttavia sicuramente devo riconoscere una certa influenza che mia madre ha avuto su di me, soprattutto se penso che sin da subito, quando io le domandavo perché avrei dovuto mangiare la carne che non volevo o perché non avessi le stesse merendine che si trovavano facilmente al supermercato, come i miei compagni di scuola, non mancava di spiegarmi il perché di quella scelta di non darmi la merendina, delle realtà industriali di sfruttamento e per niente sostenibili, che esistevano dietro quei cibi apparentemente innoqui.

Diciamo che poi, se inizialmente quelle parole nella mente di un bambino, possono rimanere inconsce, piano piano, l’eco di quegli insegnamenti comincia a risuonare tornando a galla e in modo sempre più consapevole ho cominciato a scegliere che cosa mangiare, in modo critico però, fino ad arrivare a seguire anche una dieta vegana in quest’ultimo anno, facilitata dalla mia permanenza in Israele. In modo critico perché non sono una vegana che va in giro cercando di convertire qualcun altro. Siederò sempre affianco a una persona che mangia carne. E anche seguendo una dieta vegana, posso scegliere che cosa sia giusto mangiare o no. Pensiamo alla soia, ad esempio. Seguire un’alimentazione vegana, in Israele, mi è stato facilitato per la sensibilità che ho trovato in questo Paese, nei confronti di certe tematiche. C’erano tantissimi ristoranti vegani ad esempio. Ma pensando anche ai prodotti in commercio, quelli sostenibili sono facilmente reperibili, non come nei nostri negozi in cui ancora è difficile trovarne e di solito hanno un costo molto più elevato rispetto agli altri. Pensando poi alle mie esperienze, devo dire che i viaggi che ho cominciato a fare dopo la maturità, sono stati molto importanti. Mi hanno sempre affascinato queste terre lontane e attraverso vari progetti, uno dopo l’altro, sono arrivata anche alla Freedom Farm.

Com’è stato lavorare in una fattoria del genere, a stretto contatto con gli animali che ospita?

Come detto prima, la Freedom Farm è un Santuario, fondato da due donne che hanno istituito questa no profit la quale va avanti fondamentalmente grazie al volontariato e alle donazioni e in effetti, attraverso tutto questo, la fattoria è riuscita ad ampliarsi tantissimo anche grazie al lavoro che abbiamo fatto in quest’ultimo anno ed è riuscita a diventare quindi una grande realtà.

Mi alzavo alle 5 del mattino e lavoravo duramente fino a sera, tant’è che dopo non avevo di certo bisogno di andare in palestra! Ma non ho mai avuto paura di sporcarmi le mani, penso che la natura sia il posto più pulito di tutti, e anzi, è stata un’esperienza bellissima da questo punto di vista perché mi ha permesso di riprendere un contatto con la natura che avevo dimenticato, almeno in maniera così profonda.

Mi prendevo cura di questi animali che non servivano più alla produzione per le grandi industrie, magari ormai disabili, molti modificati geneticamente dovevamo cospargerli di crema perché la loro pelle non era abituata alla luce naturale del sole. Dovevamo curarli per abituarli alla natura in cui poi avrebbero potuto scorrazzare liberi e felici. Talvolta, aiutavo anche dei giovani volontari che si univano a noi.

Quella della Freedom Farm è stata un’esperienza che ancora di più mi ha fatto capire quanto gli animali sentano come noi, non sono certa di quanto soffrano, ma sono sicura del fatto che sentano esattamente come noi. La cosa bella è stata vedere come ognuno di loro avesse un carattere ben definito e distinto dall’altro, come uno fosse furbo e l’altro invece più mansueto. Ognuno con le proprie reazioni e comportamenti distinguibili.

Qual è l’importanza di realtà del genere oggi?

Sicuramente la sensibilizzazione. Realtà del genere sensibilizzano in maniera decisamente diversa da quella a cui siamo abituati. Di solito ci obbligano ad immagini violente, terrificanti, che non sopportiamo, che non vogliamo affrontare perché urtano la nostra sensibilità e ci rassegniamo di fronte ad esse perché ci sentiamo impotenti e troppo piccoli davanti a tanta brutalità, incapaci di agire veramente in modo incisivo.

E invece realtà come quelle della Freedom Farm, ma anche come quelle del Green Planet News, che si avvicinano molto alla mia sensibilità, ti aiutano a capire qual è l’alternativa a tutto questo e soprattutto che un’alternativa c’è e che possiamo agire in modo incisivo per arginare certi eventi, in modo più consapevole o almeno domandandoci se certe azioni quotidiane, siano giuste o meno. Il mangiare è una di quelle azioni che possono essere fatte in modo consapevole. Pensando agli animali come esseri viventi e non come mezzi di produzione e questa è la cosa più importante che realtà come quella della Freedom Farm, ti permettono di capire.

Che ruolo ha il viaggio nella tua vita?

Il viaggio. Il viaggio mi fa sentire viva. Devo dire che è parte cospicua di me. Da sempre mi hanno affascinato le terre lontane. E probabilmente ho più paura a stare e rimanere che a partire. Restare è davvero impegnativo, la gente comincia a conoscerti, ad avere aspettative, mentre partendo, ogni volta ho la possibilità di ricominciare da zero, gli incontri con le persone diventano sfuggenti quasi, ma ti arricchiscono, diventa un semplice arricchirsi senza troppe pretese in più.

È un dare e un ricevere intenso e reciproco. Ogni volta ho la possibilità di andare in un posto, in cui nessuno mi conosce, avendo la possibilità di essere, me stessa, senza essere la “figlia di” o “l’amica di”. E gli incontri con le culture diverse sono allo stesso modo un’occasione di arricchimento che si basano sul rispetto reciproco. È bellissimo conoscere persone con tradizioni diverse dalle proprie e io le rispetto tutte.

Ogni volta ho sentito la casa che avevo nei diversi paesi in cui sono stata, come la mia casa, sono riuscita a sentirla veramente come “Casa”. Mi bastava avere un tetto sopra la testa e una coperta per scaldarsi se c’era freddo e subito riuscivo a sentirmi a casa. La cosa più importante per me è stata questa, scoprire che puoi sentirti dovunque, in ogni parte del mondo, a casa tua.

Hai già nuovi progetti per il futuro?

In realtà ora vorrei cercare un po’ di stabilità qua in Sardegna. So quanto è preziosa la mia terra e non vorrei farmela sfuggire del tutto, perché poi quando cominci a viaggiare e parti ogni volta e lasci la tua terra, alla fine pian piano arriva il momento in cui lasci perdere l’idea di restare. Dunque, ora sto cercando di trovare un lavoro qua, cosa che non è per niente facile.

Ogni tanto lavoro temporaneamente in un’altra fattoria che è un Santuario, a Serdiana, nel mio paese, ma per ora solo saltuariamente. Spero di trovare qualcosa di stabile, ma sto comunque vivendo un enorme conflitto interiore con me stessa, perché se da un lato c’è la Esther che vuole mettere radici, crearsi una famiglia e qualcosa di saldo, dall’altro c’è anche quella che dopo un po’ comincia a sentire il posto in cui sta, troppo stretto e vuole ripartire per ricominciare nuovamente da capo.

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