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Greenbickering, è scontro tra aziende a colpi di green

Greenbickering, è scontro tra aziende a colpi di green
Foto @Ufficio Stampa

Il 36% dei consumatori evita prodotti a impatto ambientale negativo (GfK) e tra i brand è lotta a colpi di verde.

La sostenibilità, il termine più utilizzato nella comunicazione delle aziende per proporre la propria produzione verso i consumatori e i mercati in base agli obiettivi della transizione cologica. Ma davvero le aziende sono tutte così virtuose e rispettose delle regole che l’Europa ha stabilito in merito a tale argomento?

Ed ecco che spunta fuori il greenbickering, l’ultimo fenomeno del momento. Di cosa si tratta?

Greenbickeringbattibecco green – è la nuova tendenza del momento con il quale aziende, opinione pubblica, amministratori e soprattutto giudici e tribunali, dovranno prendere confidenza. “Ovvero – spiega Rita Santaniello avvocato dello studio multinazionale Rödl & Partner quella pratica per la quale un’azienda può agire contro un competitor per concorrenza sleale laddove ritenga utilizzi impropriamente la leva della sostenibilità aziendale per migliorare il suo percepito verso il mercato ed i consumatori e quindi per vendere di più.

Comunicazione green ingannevole, fenomeno in continuo aumento

Il greenwashing, quella comunicazione ingannevole incentrata sul rispetto dell’ambiente che è solo di facciata, che fa apparire un prodotto o il brand medesimo più ’verde’ di quanto sia in realtà, è un fenomeno in continuo aumento e i casi sempre maggiori e incontrollati.

Dai dati Nielsen risulta addirittura che il 60% delle imprese sarebbe caduto almeno una volta in comunicazioni ad impronta green non valide o ingannevoli.

“Questo perché la sensibilità ecologica, soprattutto nei paesi occidentali, si è sviluppata al punto da determinare i comportamenti d’acquisto dei consumatori o persino da aumentare il valore del marchio o dell’azienda, così come conclamato da moltissimi studi” – spiega la Santaniello.

Un’indagine condotta dalla Commissione europea, dalle autorità nazionali di tutela dei consumatori insieme ad altre autorità internazionali, sotto il coordinamento della Ipcen (Consumer Protection and Enforcement Network) ha evidenziato che nel 42% dei casi le autorità hanno ritenuto ingannevoli e non veritiere le comunicazioni green, e quindi messo in atto pratiche commerciali sleali.

In oltre lo studio evidenzia che:

nel 50% dei casi, le aziende non abbiano dato ai consumatori informazioni sufficienti per valutare quanto comunicato in materia di ecosostenibilità;

nel 37% il claim conteneva formulazioni generiche, come ‘rispettoso dell’ambiente’, o ‘eco’;

nel 59% dei casi non venivano esplicitati elementi a supporto di quanto dichiarato.

Pochi giorni fa il Parlamento europeo di conseguenza – con 544 voti favorevoli, 18 contrari e 17 astensioni – ha approvato la propria posizione negoziale sulla proposta di direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde e contro il fenomeno del greenwashing.

Il progetto legislativo prevede di vietare l’uso di diciture green generiche come ad esempio ‘a impatto zero’, naturale, biodegradabile, amico della natura, ecologico se non debitamente comprovate, inserendole, unitamente ad altre, in un elenco di pratiche commerciali da considerarsi in ogni caso scorrette e quindi illecite.

Sarà guerra tra aziende?

“Ovvero – spiega Rita Santanielloio azienda posso intentare causa per concorrenza sleale verso uno o più miei competitori che utilizzino marchi, slogan o diciture green non comprovate per vendere di più, quindi sottraendo mercato agli altri, o per ‘inverdire’ la propria immagine, ottenendo così ingiustamente un vantaggio competitivo rispetto agli altri”.

Infatti secondo una recente ricerca GfK (Growh for Knowladge) in Italia, il 30% dei consumatori dichiara di evitare i prodotti con imballaggi in plastica, mentre il 36% ha smesso di comprare alcuni prodotti ad impatto ambientale negativo.

“E la mia sensazione è che – riflette il legale Rödl – definiti i paletti legislativi che comunque lasceranno spazio a ampie eccezioni, concrete attuabilità (i mercati sono oggi globali, ma gli ordinamenti giuridici no) e interpretabilità, le aziende non esiteranno a combattersi su questo fronte. Ma forse questo, al netto dell’aggravio del lavoro dei Tribunali, potrebbe essere anche un bene perché le varie sentenze ed esperienze agevoleranno una regolamentazione più puntuale in materia. Anche se – conclude l’avv. Santanielloci vorrà parecchio tempo”.

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