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Luoghi dell’insolito e del divenire: i viaggi di Vanessa Marenco

Luoghi dell'insolito e del divenire: i viaggi di Vanessa Marenco
Luoghi dell'insolito e del divenire: i viaggi di Vanessa Marenco

Viaggiatrice anomala in territori mistici”: così ama definirsi Vanessa Marenco, prendendo in prestito le celebri parole di Franco Battiato, per spiegare il suo feeling con un certo modo di “attraversare” il mondo. In questa intervista, ci racconta dell’Irlanda, di come sia possibile un diverso modo di “fare turismo”, di luoghi “in bilico” perché stanno scomparendo. Si parla di viaggi, ambiente, coscienza sociale e dei suoi libri

Scrittrice e viaggiatrice. Lei è Vanessa Marenco, classe 1980, torinese e “movimentista” indomita. Dice di se stessa: “Viaggio il più possibile: a volte, attraverso il mondo; altre, salto in bicicletta e vado a scoprire qualche parte della mia città che non conosco”. Ha scritto due libri dedicati alla narrativa di viaggio.

Con L’Atlante dell’Insolito – Un viaggio tra i luoghi del divenire, edito da Alpine Studio, è stata finalista al Premio Letterario Vallombrosa. Un invito alla scoperta di luoghi fragili che stanno cambiando o scomparendo e che, seppur bellissimi, sono spesso lasciati al di fuori delle rotte comuni.

Il primo volume Racconti d’Irlanda è stato pubblicato nel 2016 dalla Polaris Editore e racconta dei suoi otto anni su quell’isola che, evidenzia con malcelata nostalgia, “ho amato e sempre porterò nel cuore“. Vediamo cosa ha da raccontare a Green Planet News Vanessa Marenco.

Il 18 giugno 2022 il tuo libro L’Atlante dell’Insolito – Un viaggio tra i luoghi del divenire è stato finalista al Premio Letterario Vallombrosa. Com’è andata?

Potrei scrivere un intero articolo solo con questa domanda! Ma partiamo dall’inizio: il tema del concorso – scelto dal Comitato organizzatore del Premio – sarà sicuramente molto interessante per i lettori di Green Planet News: “Sostenibilità e resilienza: verso un nuovo umanesimo ambientale”!

Sebbene sia passato un po’ più di un mese, però, ancora non riesco a credere d’essere arrivata finalista. Non ci credo per tantissime ragioni: il vincitore è stato Marco Balzano (Einaudi) con “Resto qui” e l’altro compagno di premio è stato Paolo Ciampi, autore de “L’ambasciatore delle foreste” (Arkadia Editore). Ero così emozionata di incontrare entrambi e di condividere con loro “il palcoscenico”.

Un altro aspetto che mi ha emozionata tantissimo è il fatto che i 3 libri sono stato selezionati tra una rosa di 12 testi proposti da librerie indipendenti fiorentine, che oltre a essere un elemento attivo nella fibra sociale dei comuni che le ospitano, secondo me sono realtà uniche: entrare alla “On the Road” di Martina Castagnoli (https://www.facebook.com/ontheroadlibreria) – la libreria di viaggio che ha suggerito il mio Atlante per il Vallombrosa – significa non solo incontrare un livello di competenza spesso assente nelle grandi catene, ma vuol dire anche entrare a contatto con una vera e propria passione: ho avuto l’impressione che Martina, come molti altri librai indipendenti che ho incontrato nel corso degli anni, viva quasi in simbiosi con i suoi libri e apprezzi e riconosca i suoi clienti affezionati.

Un altro ricordo che porterò per sempre con me quando ripenserò a questa esperienza è che il Premio Vallombrosa coinvolge gli studenti del territorio: il giorno della premiazione circa 80 studenti dell’Istituto comprensivo Balducci di Pontassieve sono venuti a incontrarci, nonostante le altissime temperature, e sebbene la scuola fosse già finita. Hanno letto i nostri libri, hanno preparato degli elaborati sugli stessi, e ci hanno fatto una serie di domande davvero stimolanti.

Un ultimo commento è relativo proprio al Premio: la Giuria ha infatti deciso di devolvere una somma in denaro ad associazioni no-profit nominate non solo dal vincitore, ma anche dagli altri due finalisti. È un aspetto importante anche questo: la solidarietà non deve essere fatta sempre e comunque in silenzio. Io personalmente ho scelto di versare la cifra ad un’importante realtà regionale, alla “Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro” Ospedale di Candiolo, dove si fa ricerca seria e costante.

Passiamo a parlare della tua più grande passione: viaggiare! Sei in viaggio ora? Dove e perché?

Ti rispondo da casa mia a Torino, ma sono rientrata da meno di una settimana da un viaggio che ho voluto e aspettato per tanto: sono stata per 4 giorni nella Macedonia del Nord, nella zona del Lago di Ocrida, uno dei maggiori laghi della penisola balcanica ed è considerato uno dei più antichi della Terra. La sua origine risale a più di un milione di anni, il che ne fa il lago più antico d’Europa. Oltre all’incredibile ricchezza botanica, il lago ospita numerose specie di animali. Non a caso è il lago con il maggior numero di specie endemiche del mondo e proprio per questo è particolarmente interessato da azioni di conservazione. Per questo suo interesse naturalistico, è stato dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1979. È stato un piccolo viaggio in una parte d’Europa dove non ho praticamente incontrato viaggiatori internazionali.

Perché ami definirti “viaggiatrice anomala in territori mistici”?

Questa descrizione deriva dalla canzone “No time, no space” di Battiato che – oltre ad essere sicuramente il mio cantautore e poeta italiano preferito – è anche uno dei pochi rimpianti che ho: non ho mai fatto in modo di vederlo in concerto e ora me ne pento! Comunque sia, questo verso e questo brano mi piacciono per tre motivi. “No time no space” esprime un po’ la mia ricerca nei viaggi: cerco spesso territori anomali, poco conosciuti (anche se tutti ci chiediamo se davvero esista ancora una destinazione poco visitata), poco o estremamente abitati.

Poi, secondo me, in un viaggio a volte spesso capita proprio quello che viene descritto nel titolo della canzone: si perde la concezione dello spazio e la definizione del tempo, il suo ritmo scompaiono. L’ultima ragione per cui amo questo brano è proprio da nerd: è un brano che parla di scie delle comete, di avanguardie di un altro sistema solare e così via. E io sono un’appassionata di letteratura di fantascienza, quindi non può che farmi immaginare mondi lontanissimi!

Che visione del mondo trai dai viaggi che fai?

Viaggiare non mi dona una sola visione del mondo. Me ne regala molteplici, a volte in contraddizione l’una con l’altra. Viaggiare aiuta la mia testa a fare ginnastica, a rimanere flessibile. A volta, alcune idee di mondo mi destabilizzano profondamente: un esempio tra tutti, il Giappone. È stato l’ultimo viaggio “grande” che ho fatto fuori dall’Europa alla fine del 2019 prima che scoppiasse la pandemia. Mai come in questa nazione mi sono sentita fuori dalla società, fuori dalle regole culturali. Ci sono state situazioni in Giappone in cui non capivo nemmeno cosa stavo guardando.

Ma serve tutto nella vita, dicono. E poi ci sono mondi dove arrivi e secondo preconcetti assurdi dovresti per forza non servirti a casa: e invece non va affatto così. Ti senti a casa. Ti sembra d’essere sempre stata lì. Anche questo un esempio su tutti, la Groenlandia dove sono stata ospitata da una famiglia per 4 settimane tanto tempo fa. Non avevamo nulla in comune, nemmeno mezza lingua, eppure per me in tavola c’era sempre un piatto caldo quando rientravo alla sera, e mi hanno sempre fatto spazio nella tenda in mezzo a loro, senza distinzioni.

Viaggiare quindi davvero porta a maggiore consapevolezza?

Non so dare una risposta ad una domanda così grande, così profonda. In primo luogo, però, penso che viaggiare mi possa aiutare a diventare più consapevole di me stessa, dei miei preconcetti, dei miei limiti mentali e fisici. Penso che mi possa insegnare a capire, che è una brutta frase lo so, ma spero che renda l’idea! 

Quali esperienze ti hanno maggiormente segnata nei tuoi viaggi?

Ce ne sono state tante, e alcune nemmeno troppo lontane a livello geografico. Te ne racconto una che probabilmente ti sembrerà la classica storiella di viaggio buttata lì al bar con gli amici.

Devi sapere che – oltre a viaggiare – io sono appassionata di lingue. Chi mi conosce pensa spesso che ne parli molte, ma in realtà ne uso bene solo due: italiano e in inglese. Comunque sia, una delle esperienze che più mi ha segnata a livello linguistico è avvenuta più di vent’anni fa in Irlanda dove ci sono zone – riconosciute con il termine “Gaeltacht” – che identificano alcune aree in cui le comunità di lingua irlandese sono predominanti: i cartelli con questa parola sono visibili nelle contee del Mayo, di Galway, del Donegal, del Kerry e anche su alcune delle isole abitate d’Irlanda, come le Aran.

Beh, io di questo aspetto me ne ero completamente dimenticata quando – in un tardissimo pomeriggio d’inverno – ho scoppiato una gomma della bicicletta su uno di questi 3 lembi di terra che separano l’Irlanda dagli Stati Uniti. A salvarmi, ci ha pensato un anziano signore su un trattore che non parlava una parola d’inglese: ci siamo capiti solo a sorrisi e … tramite la birra. Non ero poi così lontana dal pub del piccolo centro abitato, e non ho potuto fare altro che ripagarlo della gentilezza con una pinta!

Preferisci viaggiare da sola o in compagnia?

Dipende. Molto spesso viaggio da sola. È stato questo il caso per la stragrande maggioranza delle destinazioni di cui scrivo nel mio Atlante. Mi piace viaggiare in solitaria per diversi motivi: perché sto bene da sola, il che forse può sembrare un po’ asociale nella nostra società. In realtà viaggiare da soli fa bene: aiuta ad andare un po’ oltre i limiti delle proprie timidezze, oltre a permetterti di fare quello che ti pare, di rimanere anche tre ore seduta in mezzo a un mercato a guardare chi va e chi viene e cosa compra e immaginare cosa poi cucinerà!

Altre volte, però, ho viaggiato con alcuni amici, con quelli che io definisco “viaggiatori professionisti”: tra le altre cose, abbiamo vissuto situazioni di viaggio estreme o assurde in cui abbiamo sviluppato una fiducia totale verso l’un l’altro.

Cosa dobbiamo fare per viaggiare in modo concretamente più sostenibile?

Non so se sono abbastanza qualificata per dare consigli in quest’ambito, ma penso che la sostenibilità possa iniziare da piccole, a volte facilissime e molto banali, azioni mentre si viaggia (ma anche mentre si sta a casa!).

Ad esempio, in quei paesi dove l’acqua è potabile – un grande lusso di cui spesso mi dimentico – cerco di portarmi una borraccia nello zaino. Mi aiuta a non comprare bottiglie di plastica. Un’altra cosa che cerco di fare spesso è camminare o usare i mezzi pubblici o una bicicletta, se il territorio lo permette, le strade sono sicure, e i trasporti sono solidi. A livello di cibo, cerco di mangiare quello che spesso si trova nei mercati o in piccoli ristoranti: chiedo sempre cosa c’è di stagionale in quel momento. Inoltre, se parto per un medio-lungo viaggio, mi porto dietro un paio di posate da casa così evito di usare quelle di plastica, che sebbene si pensi altrimenti, ancora esistono in moltissimi posti. Inoltre, da tanti anni, non uso più prodotti per il corpo in contenitori di plastica: uso invece shampoo solidi e così via, che oltre ad essere meno impattanti a livello ambientale, sono anche piccoli e quindi mi permettono di viaggiare leggera. Te l’avevo detto: i miei sono consigli davvero banali.

Di cosa ha maggiormente bisogno il nostro pianeta?

Sarò impopolare a risponderti così, ma penso che il pianeta starebbe un po’ meglio senza gli esseri umani. Scherzi e sarcasmo a parte, penso che il pianeta abbia bisogno di ragionevolezza da parte nostra: nel nostro piccolo, infatti, penso che possiamo fare molto. Azioni che sembrano modeste, ma che possono portare a tanto se le facessero non dico tutti ma molti: è davvero necessario comprare sempre e per forza tutto nuovo o possiamo fare in modo di acquistare qualcosa di seconda mano?

Un’altra idea – sicuramente scontata – riguarda la carta: cerco il più possibile di limitarne lo spreco, non stampando tutto, e scrivendomi cose e informazioni sul cellulare, ad esempio. Qualche anno fa mi sono anche resa conto di quanti medicinali avevo in casa e di come tutti fossero scaduti perché – per fortuna – non mi ammalo facilmente. Ho pensato a quante confezioni di medicine inutilizzabili ci debbano essere nelle case del mondo e allora ho cominciato a comprarle solo quando mi servono veramente, tenendo in bagno solo quelle per i problemi di salute generali. Dobbiamo comunque sempre prendere l’auto vivendo in città, o sarebbe possibile anche arrivare a destinazione con la bici o a piedi, se le condizioni di salute ce lo permettono? E ancora – dobbiamo avere 25 gradi in casa in inverno, oppure possiamo metterci un maglione in più e lasciare il riscaldamento più basso?

Per conoscere meglio Vanessa Marenco, potete anche visitare il suo sito Skandorina’s Travels e seguire le sue avventure principalmente su Instagram a questo link.

Foto: Vanessa Marenco

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