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Mangiare sano e sostenibile, è “Il cibo che ci salverà”

Mangiare sano e sostenibile, è Il cibo che ci salverà
Ph Leonardo Cendamo

Esiste un “Cibo che ci salverà”. Il titolo dell’interessante e soprattutto documentatissimo volume appena uscito in libreria della giornalista “best seller” Eliana Liotta. Un cibo capace di essere “gentile” con il corpo e con il pianeta. In questa intervista ci porta a capire quanto mangiare sostenibile significhi fare del bene a se stessi e al pianeta

C’è un cibo intelligente, adatto all’Antropocene, l’epoca geologica in cui sono gli esseri umani a influenzare gli eventi della terra. Un cibo che è frutto di cultura e cosapevolezza. È Il cibo che ci salverà (i Fari, La Nave di Teseo, pag. 256, € 18,00), il titolo dell'”illuminante” volume di Eliana Liotta, che dimostra quanto sia indispensabile una svolta ecologica a tavola per aiutare la terra e la salute.

Per salvare l’ambiente non basta più, anche se aiuta, andare in giro in bici, comprare un’auto ibrida e ricordarsi di spegnere le luci. Non è sufficiente pensare solo a petrolio e carbone, come avverte l’Onu. Il riscaldamento globale non potrà arrestarsi senza modificare il sistema alimentare, da cui dipende un terzo delle emissioni di gas serra, responsabili dell’aumento delle temperature.

La svolta ecologica a tavola: Il cibo che ci salverà

L’aspetto straordinario di una svolta ecologica a tavola è che i pranzi e le cene invocati per frenare l’inquinamento e il clima impazzito sono esattamente gli stessi che proteggono la salute e che potenziano il sistema immunitario. Il cibo rappresenta oggi una via per riformulare un equilibrio tra l’uomo e il pianeta.

Il cibo che ci salverà presenta per la prima volta una riflessione che parte da un approccio scientifico duplice, ecologico e nutrizionale, con la consulenza di due partner d’eccellenza: lo European Institute on Economics and the Environment (EIEE, Istituto europeo per l’economia e l’ambiente) e il Progetto EAT della Fondazione Gruppo San Donato presieduta da Gilda Castaldi.

Nel libro vengono proposte cinque diete, sia ecocarnivore sia vegetali, capaci al tempo stesso di mitigare le emissioni inquinanti e di migliorare la linea e lo stato di salute. Centinaia le risposte offerte nel saggio alle curiosità sull’impatto degli alimenti, dagli allevamenti intensivi alla pesca, dalla coltivazione dell’avocado ai prototipi di bistecca sintetica. Siamo quello che mangiamo e quello che mangiamo cambia il mondo.

Ph Matteo Strocchia

Eliana Liotta è giornalista e autrice di best seller come La dieta Smartfood, tradotta in oltre 20 Paesi. Per La nave di Teseo ha pubblicato L’età non è uguale per tutti, Prove di felicità e La rivolta della natura. Nel 2020 ha vinto il premio Montale per la saggistica, il riconoscimento Vivere a spreco zero e il premio Giuditta. Sul Corriere della Sera firma due rubriche settimanali: una su Corriere Salute e una su Io Donna. È la vicepresidente del Teatro Dal Verme di Milano. In questa intervista, ci conduce alla scoperta di elementi determinanti. Per essere in forma e aiutare l’ambiente.

Partiamo da quella che nel volume Il cibo che ci salverà definisce “la rivoluzione delle forchette”. Come sensibilizzare alla necessità di “cambiare rotta” e stile di vita?


Le temperature del pianeta continuano a crescere, il clima sta cambiando, si moltiplicano i fenomeni estremi, foreste come l’Amazzonia sono ferite dal proliferare di allevamenti intensivi e coltivazioni che prendono il posto di alberi secolari. Dobbiamo fare pace con la natura ma è necessaria una food revolution, come suggerisce l’Onu. Non è più sufficiente pensare semplicemente a petrolio e carbone: per frenare il riscaldamento globale bisogna provvedere anche a modificare quel che mangiamo e il modo in cui lo produciamo. Il motivo è semplice e si legge in un’analisi pubblicata su Nature a marzo del 2021: il sistema alimentare pesa a spanne per un terzo sulle follie del clima. E una fetta è dovuta al bestiame. L’allevamento di mucche, pecore e capre è il responsabile principale delle emissioni di metano, gas prodotto durante la digestione dei ruminanti ed eruttato dagli animali, con un effetto serra superiore all’anidride carbonica prodotta dai trasporti e dalle industrie.

Quali sono gli effetti principali, ad esempio, degli allevamenti intensivi sulle polveri sottili (che molti non conoscono)?

Questo è un aspetto che molte persone ignorano, in effetti. Gli allevamenti intensivi, tutti, anche quelli dei polli, sono i principali responsabili di emissione di ammoniaca, che deriva dalla fermentazione dei liquami. Proprio l’ammoniaca, nell’aria, forma le polveri sottili, PM 2,5, le particelle piccolissime in grado di penetrare nei polmoni e di immettersi nel sangue. Una pubblicazione di Greenpeace ha mostrato che in Italia negli ultimi anni è diminuito l’inquinamento dovuto ai trasporti su strada, all’industria e alla produzione energetica, ma è aumentata la quota legata alla zootecnia (per la precisione dal 7% del 1990 al 17% nel 2018). L’ente che ha offerto la sua consulenza al mio libro, lo European Institute on Economics and the Environment ha analizzato i dati del primo lockdown in Lombardia e ha avuto la conferma di quanto la zootecnia pesasse sulla qualità dell’aria: nonostante le strade fossero deserte in quelle settimane drammatiche, nella regione l’inquinamento continuava a superare un giorno su quattro la soglia di salvaguardia fissata dalle normative europee. Se negli allevamenti si utilizzassero tecniche di riduzione dei liquami, si abbasserebbe la dispersione di ammoniaca e quindi la formazione di polveri sottili, fino al 90%.

Come scoraggiare l’utilizzo della dieta western? Basterebbe fare qualche numero di “trapassi” come scrive nel volume a proposito di “cene scriteriate”?

La western diet è il modello alimentare che mezzo mondo ha importato dagli americani: carni trattate, prodotti ultraprocessati, patatine, merendine o snack mangiati in maniera abituale. Sapori omologati che dilagano in un frullatore di unto, colesterolo e sciatteria culturale. Io credo che sia indispensabile inserire l’educazione alimentare come disciplina nelle scuole, perché è la conoscenza l’unica vera leva del cambiamento. Poi giova, certo, ricordare un calcolo che ha fatto la commissione di 37 esperti di salute e sostenibilità raccolti dalla rivista The Lancet: se la popolazione dei paesi industrializzati riuscisse a raddoppiare entro il 2050 i consumi di vegetali e dimezzasse quelli di zuccheri, farine raffinate e carni rosse e trasformate, si frenerebbe il riscaldamento globale e si eviterebbero almeno 11 milioni e mezzo di decessi prematuri all’anno dovuti a una tavola scriteriata.

Come potenziare il sistema immunitario? In tempi di Covid, quali alimenti possiamo definire antinfiammatori?

L’Organizzazione mondiale della sanità è tornata a ribadirlo: una dieta sana, su base vegetale, è importantissima per il sistema immunitario e bisognerebbe mangiare almeno cinque porzioni di verdura e frutta al giorno, per evitare la carenza di micronutrienti che aiutano le difese. Quando la tavola è popolata dai prodotti dell’orto di tutti i colori, crudi e cotti, si è già fatto un bel passo avanti per cercare di combattere con vigore contro i virus. Le sostanze che sembrano più utili al sistema immunitario sono: vitamine A, B, C, D ed E; carotenoidi e polifenoli; grassi buoni, cioè insaturi, come quelli delle noci; minerali come zinco e selenio.

Ancora a proposito di Covid, c’è un legame tra la pandemia e il virus? Lei dice che non è solo attribuibile ai wet market in Cina ma a disboscamenti per fare fattorie ecc., possiamo spiegarlo ai nostri lettori?

Come ha detto il segretario generale dell’Onu António Guterres, “la natura ci ha parlato forte e chiaro attraverso la pandemia: ci ha detto che il nostro ecosistema è malato e che bisogna agire“. La rivista Science ha pubblicato di recente una ricerca secondo cui bisognerebbe interrompere il commercio di carni selvatiche e ridurre la deforestazione nelle regioni più critiche per evitare la diffusione di nuove epidemie devastanti. Il motivo è identico: in entrambi i casi non manteniamo la giusta distanza dalla fauna selvatica e ci esponiamo al rischio che i virus facciano lo spillover e il salto di specie, infettandoci. Purtroppo spesso si distruggono ettari ed ettari di boschi per lasciare spazio agli allevamenti intensivi, alle coltivazioni di soia per ottenere mangime da dare agli animali e a quelle di alberi da cui si ricava il famigerato olio di palma.

Safran Foer scrive che il pianeta si salva prima di cena, lei la svolta ecologica inizia a tavola: come possiamo convincere i più “scettici”?

Il riscaldamento globale non potrà arrestarsi se non si provvederà anche a modificare il sistema alimentare, ossia quello che mangiamo, allevamento, agricoltura, lavorazione, imballaggio e spedizione, da cui dipende un terzo delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo, come si legge in uno studio apparso su Nature a marzo scorso. Perché la food revolution dovrebbe coinvolgere ciascuno di noi? Perché gli stessi cibi gentili con il pianeta sono gentili con il nostro corpo. Il cibo sostenibile è anche salutare. Siamo parte del tutto.

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