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Plastic River, tra le bellezze naturali della Lombardia, l’intervista al regista

Plastic River, tra le bellezze naturali della Lombardia, l’intervista al regista
Plastic River, tra le bellezze naturali della Lombardia, l’intervista al regista

Manuel Camia è il regista di Plastic River, il documentario che vuole sensibilizzare sulla questione ambientale con una particolare attenzione al problema dell’inquinamento da plastica. Realizza Plastic River nel 2019 insieme all’associazione culturale Chora. Il documentario dopo aver ricevuto riconoscimenti da festival italiani e internazionali ed esser stato consigliato da Panorama come uno dei 5 film sull’ambiente da vedere, ha anche aperto il “San Diego Italian Festival” per celebrare la giornata Mondiale della Terra il 22 Aprile.

Plastic River però, specialmente in questo drammatico momento che stiamo vivendo, vuole essere un’occasione per mostrare i bellissimi scorci ambientali della Lombardia all’estero, ora che la regione viene associata all’emergenza da coronavirus. L’intento è proprio quello di valorizzare la bellezza dei suoi luoghi.

Plastic River, la storia e il trailer 

Il film è incentrato sull’impegno annuale di un ragazzo milanese, Tiberio, che viaggia a bordo del suo kayak risalendo i laghi e i fiumi lombardi per ripulirli dai residui di plastica sempre più frequenti e abbondanti nelle nostre acque. Immagini bellissime quelle che è possibile trovare in Plastic River, in cui la natura immensa e imponente, fa da protagonista ed è in grado di emozionare. Suoni e immagini della natura lombarda, mostrano infatti scorci di una bellezza mozzafiato, capaci di creare una presa di coscienza in chi guarda.

Una bellezza dei luoghi lombardi che si presenta in antitesi a quelle scene di degrado che sia il problema dell’inquinamento da plastica, che il disimpegno ambientale in generale, hanno contribuito a creare. Un tema estremamente grande e complesso come quello ambientale che emerge da una storia intima e personale come quella di Tiberio. In cui informazioni scientifiche si intrecciano al personale percorso del ragazzo. L’intervista al regista, Manuel Camia.

Come nasce Plastic River?

Molti di voi conosceranno la storia di quelle paperelle gialle naufragate per sbaglio dalla nave che le trasportava. Grazie a quei giocattoli e il loro incredibile viaggio gli scienziati migliorarono le conoscenze riguardo lo studio delle correnti e indirettamente acquisirono informazioni sull’inquinamento degli oceani. Le mie paperelle furono un’escursione domenicale con il mio amico Tiberio, appassionato kayakista da ormai più di una decade.

Durante le nostre pagaiate l’osservai più volte avvicinarsi a canneti ed isolotti per recuperare spazzatura di ogni genere. Mi spiegò che negli ultimi anni aveva iniziato a prestare maggiore attenzione allo stato dei luoghi che era solito frequentare, e che durante ogni escursione recuperava una discreta quantità di rifiuti, specialmente bottigliette, imballaggi e contenitori di plastica.

Mi accorsi come da dentro laghi e fiumi si godesse di uno spettacolo spesso invisibile agli occhi di chi osserva dalla riva o dal molo, e di come anche riserve meravigliose e posti insospettabili iniziassero ad essere colpiti dal degrado. Da quel giorno iniziai a documentarmi sul problema, ad approfondire un tema che avevo solo sfiorato superficialmente fino a scoprirne dati inquietanti.

Furono diverse informazioni come l’enorme quantità di rifiuti plastici prodotti quotidianamente e la misera percentuale di quelli riciclati, le microplastiche a convincermi a documentare la storia di Tiberio.

Qual è il messaggio principale che vorresti arrivasse allo spettatore?

Lo scopo del documentario è quello di sensibilizzare e avvicinare le persone all’ambiente. Certo nello specifico, raccontando la storia di Tiberio, ci siamo concentrati sul problema dell’inquinamento da plastica e su come questo stia deturpando le nostre acque e il nostro territorio. Il messaggio pero’ è estendibile a tutti i macrotemi che riguardano la causa ambientale e l’impegno personale.

Sappiamo bene che è necessario il contributo della politica e delle grandi aziende per riuscire ad avere un impatto decisivo, ma una maggiore informazione e un accentuato senso civico del singolo cittadino sono il primo passo per imboccare la direzione giusta. Troppe volte dietro la vastità e la complessità di questi temi ci siamo nascosti sentendoci impotenti e costruendoci un perfetto alibi fatto di passività ed indifferenza.

Durante le riprese ho voluto mostrare Tiberio come un piccolo punto all’interno dell’ambiente, inquadrandolo spesso con una prospettiva schiacciata per rappresentare metaforicamente il senso d’impotenza che ognuno di noi percepisce di fronte ai grandi temi globali come l’ambiente.

Sono stato però felice di essere parzialmente smentito nel corso di quest’ anno di distribuzione ai festival da molti ragazzi e associazioni, che dopo essersi imbattuti nel documentario ci hanno scritto dicendo che erano felici di vedere la storia di Tiberio perché è come se raccontasse la loro. Altri ancora, e questo mi ha sorpreso ancora più positivamente, hanno deciso di iniziare ad investire parte del proprio tempo libero per iniziare ad effettuare escursioni con lo scopo di ripulire i luoghi vicino a casa.

Nel trailer vediamo un ragazzo che immerso in questi meravigliosi luoghi naturali, va con il suo kayak a ripulire l’acqua dai residui di plastica che trova lungo la strada.

Soprattutto in questo difficile momento che stiamo attraversando, è possibile tutelare l’ambiente? Convivere con esso senza danneggiarlo eccessivamente? A parer tuo, quali sarebbero le azioni davvero necessarie in questo senso?

Domanda sicuramente complessa. Come tante persone mi sono chiesto se questa emergenza del Covid-19 potesse essere positiva o meno per promuovere la tutela ambientale. Credo sia molto difficile rispondere, l’evidenza dice che non esiste momento migliore per attuare finalmente la transizione green. Bisogna fare però i conti con realtà politiche che ancora oggi negano quanto la scienza afferma da anni, ed è un problema serio se tra queste fila annoveriamo alcuni dei governi più influenti del globo.

Le difficoltà economiche conseguenti la pandemia potrebbero essere un ulteriore freno, in molti temono che possano incentivare l’uso di combustibili fossili e bloccare i finanziamenti necessari per attuare la transizione. Volendo guardare il lato positivo bisogna sottolineare come stia crescendo un sentimento generale di attenzione alla situazione del nostro ambiente e del clima, una minaccia invisibile come quella del virus è stato un forte campanello d’allarme capace di aiutare le persone a percepire come minacce reali anche quelle che non si riescono a vedere.

La deforestazione è un altro grande tema che la pandemia ha riportato alla considerazione del grande pubblico, e sappiamo essere un altro tema cardine del nostro tempo non solo per il ruolo che può giocare nel favorire nuovi spillover, ma per la battaglia al cambiamento climatico e la salvaguardia della biodiversità. Venendo a temi più vicini a noi, mi piacerebbe solo non dover girare un nuovo documentario dove racconto di come Tiberio ora trascorre le sue giornate a raccogliere mascherine e guanti monouso.

Di cosa ti stai occupando al momento? Che progetti hai per il futuro?

Insieme all’associazione culturale Chora stiamo realizzando un nuovo documentario che vuole raccontare la situazione dei ghiacciai alpini in Italia seguendo lo studio dei ricercatori dell’Università Statale di Milano. Già compromessi dall’aumento delle temperature e i cambiamenti climatici è stato dimostrato come anche le cime più impervie siano ormai contaminate da plastica. L’unicità dello studio che i ricercatori italiani stanno conducendo metterà finalmente in luce questa situazione, indagando aspetti che oggi sono solo ipotesi senza verifica.

Da dove proviene questa plastica? Le microplastiche sono nocive per la dieta degli organismi? Possono diventare vettori di contaminanti pericolosi presenti nel ghiaccio? A queste e altre domande lo studio proverà a dare risposta. Il nostro scopo è quello di documentare l’intero percorso di ricerca, valorizzando e fornendo un supporto per aiutare lo studio ad essere divulgato a quante più persone. Racconteremo il lavoro sul campo, riprendendo i campionamenti sul ghiacciaio dei Forni.

Visiteremo location meravigliose distribuite sull’arco alpino, fino a salire sulla vetta più alta del complesso dei Forni, il Cevedale sperando sia possibile al più presto. Seguiremo non solo i campionamenti e l’iter di lavoro del team fatto di notti all’addiaccio e albe di cammino, ma anche le analisi e risultati ottenuti nei laboratori. Lo studio condotto dai ricercatori sarà l’occasione per indagare temi come l’intricata connessione tra l’uno e il tutto.

Siamo la prima generazione ad avere la consapevolezza scientifica che le nostre azioni hanno ripercussioni su clima ed ecosistemi, e forse l’ultima a sfuggirne le conseguenze.
Siamo pronti per questa sfida?

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