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Rita e il biancone, storia d’amore e di natura

Foto di Flo Maderebner da Pexels

Un incontro speciale con un biancone, uccello rapace. Lo racconta Rita Caglioti che lavora nel giardino di Torrecchia a Cisterna di Latina, dove noi di GPNews l’abbiamo conosciuta durante un’incantevole visita

Ci racconta quell’esperienza davvero particolare, mistica addirittura, come la definisce lei che aggiunge “in grado di creare un’unione profonda, intima, svincolata dalle “umane” regole del tempo e dello spazio”.

E che non riguarda in un incontro tra persone…

No, è stato con un biancone, l’aquila dei serpenti, un incontro che, se si ha la fortuna di essere pronti, attiva un processo interiore capace di aprire nuovi orizzonti al processo di consapevolezza della vita. Ed è proprio quello che è successo a me.

Ci racconti cosa è successo?

Era il 2002 quando a bordo di un fuoristrada del Parco Nazionale d’Abruzzo una femmina di biancone, “l’aquila dei serpenti”, giungeva fino a Latina trasportato da due agenti forestali. A ricevere il prezioso carico e il delicato incarico il biologo naturalista, nonché amico, Giuseppe Di Lieto. I sintomi evidenziavano un problema neurologico, probabilmente di origine traumatica, che costringeva l’aquila a rimanere riversa su un fianco. Era la prima volta che sentivo nominare due parole che non avrei più dimenticato: “nistagmo oculare”.

Di che si tratta?

Un disturbo che consiste in un movimento rapido, ritmico e involontario degli occhi, e chi più di un’aquila, mi faceva notare Giuseppe, ha bisogno dei suoi occhi? La osservai e non riuscii ad incontrare il suo sguardo, le sue pupille si muovevano all’impazzata, fuori controllo. Provai una sensazione a me sconosciuta, angosciante, straziante, era come se l’animale avesse smarrito il suo spirito, la sua energia vitale. Era come se fosse assente.

Dove avete portato il biancone?

Trasferita in una voliera per il suo recupero, “Bianca”, questo il nome scelto per lei, trascorse tutto l’inverno ben protetta dal freddo e ben alimentata, un soggiorno forzato che rappresentò un doppio esilio, se si pensa che il biancone passa la stagione fredda in Africa subsahariana. Così, lontana da tutti gli altri suoi simili, privata degli spazi immensi e selvaggi delle savane, isolata nel silenzio quasi sacro di una voliera, Bianca, affidata alle miracolose cure del tempo, ebbe la pazienza e la forza disperata di attendere. Un’attesa ben ripagata all’inizio della primavera.

Perché?

Durante una delle nostre consuete visite alla voliera, Giuseppe ed io ci siamo accorti che qualcosa era cambiato, in Bianca: aveva una postura diversa, diritta sul suo posatoio come solo i rapaci riescono a stare, assomigliando in questo loro atteggiamento più a noi umani che a tutti gli altri uccelli. Fu un’emozione indescrivibile, velata da una lieve tristezza per l’imminente separazione che mi apprestavo a vivere. E finalmente arrivò il grande giorno, il giorno in cui all’aquila sarebbe stata restituita la sua libertà.

Dove è stato liberato il biancone?

Si decise di fare la cerimonia di liberazione all’interno della tenuta di Torrecchia Vecchia, un luogo oltre che magico per le sue bellezze storiche e naturali, strategicamente adatto ad ospitare un biancone. Per le esigenze di questa specie, un predatore di serpenti, non poteva essere scelto un ecosistema migliore. Nella tenuta inoltre, posta su una delle rotte migratorie note, Bianca avrebbe potuto incontrare altri bianconi in arrivo dall’Africa ed unirsi a loro per proseguire il viaggio interrotto l’anno precedente. Ricordo in maniera indelebile il momento del lancio di Bianca verso il cielo, Giuseppe la teneva stretta tra le mani. Sapevo che mi sarebbe rimasto poco tempo ancora. Di impulso la chiamai a voce alta e lei volle farmi il regalo inaspettato che custodisco da allora: mi guardò e io guardai i suoi occhi. Erano fermi, acuti, fissi nello sguardo regale e incorrotto di un’aquila. Il nistagmo se ne era andato. Mi resi conto che nel fissarci ero veramente entrata in contatto con il suo spirito profondo ritrovato. Ora a tremare non erano più i suoi occhi ma la mia anima in preda all’emozione. Fu diverso da qualsiasi altro incontro accadutomi in tutta la mia vita.

Il volo dell’aquila, liberata in aria dalle mani di Giuseppe, ha lasciato qualcosa di magico dentro ogni persona presente, e noi operatori, più vicini a Bianca durante la sua convalescenza, capimmo che, più o meno consapevolmente, eravamo stati coinvolti in un percorso di autoguarigione.

È finito tutto così, tra te e il biancone?

No! Le sorprese per me non erano terminate. Il giorno dopo la liberazione mi misi a cavallo nell’immensa tenuta di Torrecchia Vecchia a cercarla per monitorare i suoi spostamenti passando due mattinate intere col naso all’insù e con la delusione di non averla avvistata. Quasi rassegnata mi misi in macchina e mi avviai verso l’uscita della tenuta. Improvvisamente vidi un ombra gigantesca sopra il tettino della mia auto e fu un tutt’uno fermarmi ed esclamare “è lei”! Eh sì, era proprio lei! Volteggiava sopra la mia testa e man mano guadagnava sempre più quota come a dirmi “sto bene”. Poi finalmente si esibì nello “Spirito Santo”, una tecnica di volo librato che i Bianconi usano per localizzare i rettili al suolo. Con i suoi 2 metri di apertura alare riusciva a stazionare in aria, ferma in un punto, perfettamente immobile come neanche un elicottero riuscirebbe a fare.

Ma c’è stata un’altra sorpresa recentemente…

Sì, da quel giorno di aprile 2003 non si è fatta più rivedere ma sabato 25 maggio 2019 sua maestà si è ripresentata inaspettatamente ai miei occhi con un volo molto basso come dire “Sono io! Mi riconosci?”. Mi piace pensare che sia Bianca, “la mia aquila”, anche se dallo sguardo ironico ma comprensivo di Giuseppe capisco che questo non può essere possibile! (ma chissà, pensiamo noi di GPNews…)

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