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Piante per attenuare i cambiamenti climatici

Foto di cottonbro da Pexels

Piante in soccorso dell’ambiente? Per rallentare il riscaldamento globale occorrono diverse strategie che richiedono importanti cambiamenti  e cambi di mentalità delle persone come smetterla di distruggere le foreste, guidare auto a benzina o bruciare carbone per fare energia

Hillary Rosner, giornalista e scrittrice specializzata su tematiche ambientali,  ha centrato il punto della questione: “Ma se potessimo anche cambiare il comportamento di un gruppo di organismi molto più flessibile, quelli che consumano l’anidride carbonica che emettiamo?”. Fa riferimento alle piante e alla possibilità di  aumentare la loro capacità di assorbire  il carbonio e di stoccarlo  in maniera naturale, senza ricorrere alle costose, sperimentali e contestate tecnologie Carbon capture and storage.

La Rosner spiega che le piante estraggono Co2 dall’atmosfera e immagazzinano nelle foglie, nei tronchi, steli e nelle radici, parte di quel carbonio che, in questo modo, penetra nel terreno e viene definitivamente stoccato e “disarmato” per millenni.

Wolfgang Busch, biologo vegetale del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California, ricorda :attualmente “noi esseri umani stiamo accumulando così tanta CO2 che la Terra non è in grado di compensarla”.

Che fare, dunque?  Busch assieme ad altri ricercatori si sono messo all’opera. Stanno lavorando a un nuovo progetto, l’Harnessing Plants Initiative, ossia piante in grado di assorbire ancora più CO2 dall’atmosfera e stoccarla per secoli. Lo scienziato ha spiegato in una dichiarazione riportata sulle colonne del magazine Ensia: “Non stiamo cercando di convincere le piante a fare qualcosa che normalmente non fanno. Stiamo solo cercando di aumentarne l’efficienza. Quindi potremo usarle per mitigare i cambiamenti climatici”.

L’Harnessing Plants Initiative, insomma, punterebbe a produrre “piante ideali che immagazzineranno carbonio in profondità nel suolo, che richiedono meno fertilizzanti per crescere e che alla fine producono cibo per nutrire il mondo». La prospettiva che Busch auspica “è di quella di insegnare alle piante a produrre più di carbonio molto stabile”.

Sempre su Ensia, Hillary Rosner scrive che i ricercatori per farlo stanno sfruttando la suberina, una molecola prodotta dalle piante che, ricca di carbonio e resistente, è uno dei principali componenti del sughero. Il team di ricerca del Salk Institute sta testando le varietà di suberina su due piante: il ginestrino e la mostarda provenienti da tutto il mondo. Lo scopo è quello di trovare le specie che si sono evolute per produrre più suberina.

Una volta identificati i geni associati alla produzione di suberina, potranno utilizzare la coltivazione tradizionale, l’ingegneria genetica oppure una combinazione delle due, per la realizzazione di quelle che saranno vere e proprie centrali di stoccaggio del carbonio.

Piante a difesa dell’ambiente 

Christer Jansson, direttore scienze delle piante all’Environmental molecular sciences laboratory del Dipartimento dell’energia, spiega a sua volta che “Il progetto Salk fa parte di una nuova generazione di agricoltura, nella quale diventa importante non cercare solo rendimenti più elevati nelle porzioni vendibili [delle colture], ma anche combinarli con più carbonio trasferito nel suolo”.

Jansson ha fatto parte, nel 2015, del team internazionale che ha pubblicato su Nature l’indagine “Expression of barley SUSIBA2 transcription factor yields high-starch low-methane rice” nella quale si è documentato lo sviluppo di un riso che durante la crescita emette pochissimo metano.

Un deciso passo avanti per quanto riguarda la situazione ambientale,  dal momento che le risaie sono una delle maggiori fonti artificiali di metano, un potente gas serra.

Il riso low-methane contiene un gene dell’orzo che diminuisce la quantità di carbonio incanalata verso le radici della pianta, che a sua volta fornisce meno cibo ai i batteri che vivono nelle risaie e che producono il metano.

Più recentemente, in una ricerca non ancora pubblicata, realizzata insieme a Sun Chuanxin dell’Uppsala BioCenter, Jansson ha invertito il processo. Ha aumentato il carbonio sottoterra per un nuovo esperimento: approfondire il ruolo che potrebbero svolgere i microbi nella rizosfera, l’area del suolo che circonda le radici di una pianta e che costituisce un mini-ecosistema nel quale radici e suolo interagiscono.

Ha sottolineato Jansson: “Molti tipi di batteri, funghi e altri microbi vivono lì e potrebbero essere manipolati per assorbire più carbonio nel terreno. Parte del fascino dell’uso del microbioma rizobico è la possibilità di utilizzare microbi che possono sia far crescere colture più produttive, sia immagazzinare più carbonio. Non ci sono abbastanza soldi per mettere il carbonio nel suolo da solo. Economicamente deve essere  responsabile  un agricoltore o  di una società biotecnologica che ci investa”.

Piena collaborazione tra i ricercatori del progetto Salk e quelli di Harnessing Plants Initiative. Soprattutto per evitare che l’utilizzo “massiccio” della suberina non penalizzi le coltivazioni. Julie Law, una biologa vegetale che lavora al progetto, evidenzia che “L’obiettivo a lungo termine è quello generare qualcosa che possa essere utilizzato anche per sfamare le persone”..

Per massimizzare la superficie dedicata allo stoccaggio del carbonio, Busch e Law sperano anche di produrre piante che possano crescere nelle aree marginali, come i margini incolti dei campi agricoli.

Il loro obiettivo è quello di rendere le piante 20 volte più efficaci nello stoccare il carbonio nel terreno e di utilizzare quelle piante per immagazzinare metà della Co2 di origine antropica emessa ogni anno. “Raggiungere questo obiettivo ambizioso –  dicono – richiederebbe il 6% del terreno agricolo del pianeta.Questo potrebbe includere l’utilizzo delle piante come colture di copertura”.

Altrove, come al Land Institute di Salina, nel Kansas, gli scienziati stanno lavorando alla realizzazione di versioni perenni delle colture alimentari più importanti per l’umanità, da piantare ogni anno. Le piante perenni hanno, invece, sistemi di radici molto più profondi e non hanno bisogno di essere lavorate ogni anno, ideali per stoccare il carbonio. Al Land Institute gli scienziati hanno sviluppato un nuovo grano chiamato Kernza, una pianta perenne che prodotta a partire da un antenato di grano.

Le fitte radici di Kernza si estendono per 3 metri sotto terra, stoccando il carbonio e aiutando la pianta a far fronte alla siccità perché è in grado di accedere all’acqua presente più in profondità nel sottosuolo.

Tutti questi progetti promettenti richiedono non solo investimenti e risorse umane, ma anche una risorsa ancora più preziosa: il tempo. Come sottolinea concludendo Busch riguardo al progetto “suberina”: “Non abbiamo molto tempo. Per sviluppare qualcosa di simile abbastanza presto perché funzioni, dovremmo davvero sbrigarci”.
La speranza di aiutare il pianeta potrebbe arrivare dalle piante e dalla loro capacità naturale e spontanea di purificazione. Senza dimenticare comportamenti umani etici e sostenibili.

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