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Carditello, Delizia Reale

Foto: libera da diritti di utilizzo, Licenze creative commons Wikimedia, autore Gianfranco Vitolo

È il 2013 quando la Real Casa di Carditello, San Tammaro, Caserta, viene acquistata dallo Stato Italiano che in questo modo riesce a coprire una grande lacuna. Ovvero intervenire a recuperare quel che restava di un incredibile patrimonio, non solo gli edifici principali di questa Reggia, una delle “Delizie Reali” dei reali borbonici, ma tutto il territorio attorno

Carditello infatti non era solo la residenza di campagna dei sovrani, ma un luogo in cui la passione per la caccia si legava a quella dell’allevamento dei cavalli ma anche di mucche, tori, vitelli (e persino cammelli, a un certo punto della sua storia) e a un’attenzione speciale per le colture e le produzioni di vario genere. La leggenda vuole che proprio qui si sia inventata quella squisitezza che è la mozzarella di bufala.

Del resto, questa era una zona da tempo individuata per diventare centro di sperimentazione agricolo-casearia-di allevamento. Il primo sovrano a capirne le potenzialità fu Carlo di Borbone che sceglie il sito per tirar su cavalli di razza, bonificando i suoli paludosi, e facendo arrivare da Lodi alcuni esperti casari, che vi esportarono il sapere della preparazione del  formaggio, il parmigiano, proprio come si faceva a Parma… (di cui, assieme a Piacenza, prima di diventare re era stato duca).

Un’agricoltura, assieme alle tecniche di migliorie per le pratiche zootecniche, che i Borbone ritenevano necessarie al fine di valorizzare il territorio e l’economia. Così fu importante terminare l’opera di canalizzazione e bonifica iniziata già dal viceré spagnolo Pedro Fernandez de Castro all’inizio del 1600, in quella porzione di terra che si chiama i Regi Lagni: un raccordo di acque piovane e sorgive da convogliare dalla pianura a nord di Napoli verso il mare, tra la foce del Volturno e il Lago Patria, come racconta la giornalista Nadia Verdile nel suo libro “La Reggia di Carditello”, Ventrella Edizioni. È lì che ricorda come fu Massimo Bray, uno dei ministri dei Beni culturali italiani, a prendere l’impegno di far ritornare all’antica meraviglia la Reggia di Carditello, la cui architettura il re Ferdinando IV di Borbone  aveva commissionato verso la fine del 1700 a un allievo di Luigi Vanvitelli,  Francesco Collecini. Costui aveva concepito una palazzina centrale sormontata da un loggiato e da un belvedere, affiancata da altri edifici di servizio. Senza far mancare l’ampio galoppatoio ellittico, delimitato da due fontane con obelischi e con un tempietto circolare nel mezzo.

Ci pensarono artisti come il pittore di corte Jacob Philipp Hackert a dare ancora più lustro agli interni con pitture murali che ancora oggi seppur degradate si possono ammirare. E altri artisti avevano reso prestigiosi e preziosi le volte dipinte, come

Fedele Fischetti, o i monocromi che decorano la chiesa ad opera di Carlo Brunelli, mentre i bassorilievi di stucco ornano di Angelo Brunelli ornano le due monumentali scalinate, mentre le stoffe di San Leucio, altra eccellenza campana, vestivano certe pareti: non si lesinava nulla per queste residenze che però mantenevano ben saldo il loro spirito. Essere aziende a tutto tondo che davano ricchezza e benessere.

Lo sapeva bene Tommaso Cestrone, un pastore della zona che non si rassegnava all’incuria e al degrado in cui Carditello da decenni versava, senza riuscire a risollevarsi. L’abbandono e la violenza era iniziata nel 1799, quando la corte dovette scappare a Palermo per l’arrivo dei Francesi. Ci fu un ritorno qualche anno dopo ma la reggia non riuscì a superare il suo declino, sempre più abissale, passando di mano in mano, garibaldini, opera combattenti, soldati americani, consorzio di bonifica dell’Alto Volturno.

Tommaso Cestrone cominciò a poco a poco a difendere la Reale Delizia e a prendersene cura, puliva, spazzava, eliminava le erbacce, chiudeva gli infissi rimasti, presidiava il luogo con la sua roulotte che qualcuno brucerà (ma lui ritorna). La sua storia è diventata anche un film, “Bella e perduta”, di Pietro Marcello.

Parlava spesso con il ministro Bray ma non riuscirà a vedere ripulita e in forma Carditello, poiché muore due settimane prima che la Delizia Reale diventi definitivamente dello Stato, il 9 gennaio 2014.

E nel febbraio del 2016, il ministero per i beni e le attività culturali, con la Regione Campania e il Comune di San Tammaro, danno incarico alla Fondazione Real Sito di Carditello di recuperare il monumento ma anche riproporre le attività produttive che ne avevano fatto un fiore all’occhiello.

Ma andando a Carditello, che si chiama così per i campi di cardo le cui foglie appaiono un po’ ovunque nei dipinti e negli stucchi, c’è un piccolo grande miracolo: i giovani che accompagnano i turisti a visitare il Real Sito ritrovato, narrando come era la vita tanti e tanti anni fa, in mezzo a questa terra negli ultimi tempi disprezzata da uomini stupidi e insensibili. Sono gli Angeli di Carditello che fanno parte del forum delle associazioni chiamato Agenda 21. Le loro gesta sono certo ispirate a Tommaso, lui non c’è più ma se Carditello vive anzi rivive si deve a lui e questi ragazzi che arrivano anche da fuori Napoli sono davvero una buona testimonianza del suo esempio, una bella gioventù pronta ogni domenica mattina ad accogliere chi vuole ritrovare il lustro di una terra ancora piena di promesse tutte da cogliere.

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