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Gestire il bosco per salvare il paesaggio italiano

Gestire il bosco per salvare il paesaggio italiano
Foto: Arnaud Mesureur on Unsplash

Non è una questione di nostalgia: ritornare a un paesaggio agro-forestale in cui bosco-natura-uomo vadano a braccetto. Per questo però il bosco va gestito al meglio, curato, pulito, ci si può/deve entrare e lavorare, riscoprendo e ricreando paesaggi disegnati e modellati dell’uomo, che non sempre riesce a fare disastri

Racconta al nostro giornale Mauro Agnoletti, professore di storia del paesaggio e dell’ambiente all’Università di Firenze, presso il Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali (GESAAF), Scuola di Agraria: “Negli ultimi ottanta anni, la superficie boschiva in Italia è triplicata, passando da 4-5 milioni di ettari agli attuali 12. Questo perché a un certo punto gli italiani, più o meno a partire dalla II guerra mondiale, hanno abbandonato l’agricoltura e le attività forestali per spostarsi in città e lavorare in fabbrica”Ma non è un bene avere tutta questa ricchezza di boschi? No, se non si utilizzano le sue incredibili risorse e così il nostro bosco, i nostri boschi sono in balia dell’abbandono, non svolgono la loro funzione, quella di essere una risorsa economica, ambientale, ma pure sociale e culturale”, sottolinea Agnoletti che è anche presidente del comitato scientifico del programma mondiale della Fao sulla conservazione dei paesaggi agrari e coordina la segreteria scientifica dell’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale presso il ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo.

Bosco: funzione economica, sociale e culturale

Il bosco è un prodotto culturale, all’interno di un paesaggio in armonia tra natura e uomo, spiega Agnoletti e aggiunge: “Non ci sono boschi interamente naturali in Italia. Fino a pochi decenni fa erano coltivati come un giardino e venivano descritto dagli artisti, letterati, poeti, scienziati che giravano il nostro paese nel periodo del Grand Tour come parte del “bel paesaggio” italiano. Oggi è ridotto spesso a zone selvagge e impraticabili. Invece il nostro obiettivo deve essere quello di ritornare a considerarlo quello che è, una risorsa, e un modo per riacquistare l’equilibro perduto dei nostri paesaggi. Basti pensare che oggi importiamo l’85% del legno da Austria, Finlandia, Stati Uniti, con tutto quello che abbiamo. Perché tagliare i nostri boschi non è economicamente vantaggioso e si preferisce far venire il legno da fuori. Proprio da quei paesi che hanno una visione oculata dei loro boschi: gli alberi tagliati vengono poi ripiantati, perché per loro è guadagno”.

Tagliare il bosco non significa degradarlo

“Se non si cura il bosco, parte del paesaggio, andiamo incontro anche a danni ambientali”, sottolinea il professore.”Serve cambiare mentalità: tagliare il bosco non significa degradarlo. Poi pochi sanno che un bosco coltivato assorbe una maggiore quantità di anidride carbonica. Su una pendice montana è il bosco gestito che impedisce le frane”.

Che tipo di alberi ci sono in Italia? “Un tempo nel territorio italiano c’era una proporzione tra conifere e latifoglie, tra faggi ed abeti, questi ultimi con un apparato radicale non molto sviluppato. Attualmente c’è invece una sproporzione, si sono piantati molti abeti, per sfruttarne il lato economico, con il risultato di aver generato boschi instabili. Quando arriva un vento a 180 km orari come quello che ha scosso certe zone delle Alpi tra fine ottobre e inizio novembre, ecco che vengono giù come birilli”.

Tutto il bello e il buono dei castagneti italiani

Quali sono gli alberi veramente italiani? “In Italia c’è una gran quantità di querce, come rovere, roverelle, farnie, lecci, sughere, e poi abeti bianchi e rossi, larice, pino mugo e domestico, cipresso e il castagno, un albero di cui una volta si usava tutto, legname, carbone, foglie, corteccia, castagne. Nel mio libro (Storia del bosco, Laterza, ndr) dedico tutto un capitolo a quella che è stata definita “La civiltà del castagno”, l’albero che veramente caratterizza l’Italia dal punto di vista forestale, così come grano, olive e vite lo fanno per il paesaggio rurale mediterraneo. Una volta i castagneti si integravano con i pascoli e le colture. Ora sono in fase di abbandono totale. E poi ci sono alberi alieni, che vengono da fuori, come gli ailanti o le acacie: sono robusti e prevaricano sulle altre specie. Se le aree boschive fossero gestite, non sarebbe possibile, anche se tali piante hanno diversi usi, come consolidare scarpate e pendici instabili o creare palizzate.”

Il bosco: una risorsa per il paesaggio

Nel nostro paese, si capisce dalle parole del professor Agnoletti,vige purtroppo un tipo di tutela paesaggistica che pensa più a ripristinare la naturalità dei boschi che a consentire di utilizzarli. Questo perché il paesaggio è il risultato di una messa a punto, diciamo così, tra uomo, boschi, natura in senso lato: insomma di mezzo c’è comunque l’uomo. Se la natura prende il sopravvento e l’uomo vuole recuperare una certa zona per pascoli o agricoltura, cioè per l’uso che se ne faceva in tempi passati, la legge lo impedisce, non si può, si viene denunciati e si rischia di finire in galera. Secondo Mauro Agnoletti, allora, bisogna far sapere alla gente che gestire un bosco non significa distruggerlo bensì valorizzarlo e che sarebbe utile e vantaggioso rivedere tanti percorsi burocratici, dando la possibilità di ricreare spazi all’interno dei boschi per le attività umane che vi si svolgevano (e bene) tanti anni fa. Quando amare il bosco significava curarlo e proteggerlo, davvero. Per questo, servono anche infrastrutture specifiche, ad esempio organizzare strade per trasportare trattori e altri mezzi utili alla gestione.

La foto di apertura è di Arnaud Mesureur on Unsplash

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