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Fotografare come atto d’amore

Una nuova sezione dedicata alla fotografia su Green Planet News
Una nuova sezione dedicata alla fotografia su Green Planet News

Portare alla vostra attenzione “tutto il bello possibile” che proviene dall’incanto delle immagini. Tra fotografi e fotografie. In questo primo articolo, l’intervista “all’artista” Alberto Bortoluzzi.

Se passa un giorno in cui non ho fatto qualcosa legato alla fotografia, è come se avessi trascurato qualcosa di essenziale. È come se mi fossi dimenticato di svegliarmi, ammoniva Richard Avedon.

Prende vita qui su su Green Planet News, una rubrica tutta nuova dedicata alla fotografia. Parleremo un po’ di tutto: interviste a grandi fotografi, autori di ieri e di oggi, libri fotografici, come si lavora a un progetto fotografico, e tanti altri argomenti che nasceranno e cresceranno strada facendo.

Ci sarà anche spazio per sviluppare temi da voi suggeriti, rispondere alle vostre domande, e dare spazio a qualche vostra fotografia, o progetto. Non è nostra intenzione invece disquisire sui modelli di macchine fotografiche o di obiettivi, il discorso sarebbe troppo vasto, e poi come diceva Man Ray: Quel che conta è l’idea non la macchina fotografica.

Chi è Alberto Bortoluzzi?

Ho quasi 61 anni, e sono nato a Varese, dove vivo e lavoro. Per me fare il fotografo non è stato un ripiego, ma un atto d’amore, essendo io laureato in Geologia.

La mia carriera di geologo è durata solo un paio di anni, non ne potevo più di fare carotaggi per l’edificazione di capannoni e palazzi, e alla tenera età di 27 anni, ho stravolto la mia vita licenziandomi un giorno prima delle ferie estive.

Per quasi un anno ho fatto lavori saltuari poi, grazie a un amico, ho cominciato a lavorare come restauratore lapideo in giro per l’Italia. Era un mestiere faticoso e talvolta malsano, ma anche con tanti lati positivi, primo fra tutti la libertà, l’operare in bei posti e il non avere pensieri.

Anni meravigliosi, in cui stimolato dalle bellezze che mi circondavano, ho ricominciato a fotografare. I primi scatti di quel periodo, sono tradizionali, sono affascinato dalle distese di girasoli, dalle balle di fieno nei campi, dalla laguna veneta. Il tutto sempre e solo in bianco e nero, che mi sviluppo e stampo da solo. Poi improvvisamente qualcosa cambia, non sono più le belle immagini a interessarmi; sono alla ricerca di una fotografia più intima, più mia.

La fotografia dedicata agli alberi

Cominciano così i miei primi scatti sugli alberi; alberi imprigionati nel terreno, alberi sensuali, radici riconducibili al mondo animale; un mondo tutto mio, solo mio, dove riverso le mie inquietitudini interiori. In quel periodo mi sentivo quasi in colpa a ricercare questo genere di immagini, talvolta così lontane dalla concezione di quella che veniva considerata fotografia artistica, che tante volte mi sono chiesto se potessero interessare a qualcuno.

Nel frattempo arrivano gli anni ‘90, e si comincia a parlare di Tangentopoli. Improvvisamente il lavoro si ferma, e noi ci ritroviamo disoccupati. Che fare ora? Di tornare a fare il geologo non se ne parla. L’unica cosa che sembra interessarmi più di altre è proprio la fotografia; ma sarò all’altezza di trasformarla in lavoro? Non sono più un ragazzino e non si può pensare di svegliarsi un giorno e dire: sono un professionista.

Mostro allora le mie immagini a Maria Mulas, (nota fotografa che vive a Milano) chiedendole se secondo lei ho la stoffa per trasformare una semplice passione in lavoro. Confortato dalla sua risposta, comincio il mio apprendistato da due simpatici fotografi di Cantù, specializzati in fotografia industriale. Un periodo importante, dove imparo la tecnica fotografica.

Poi dopo un anno e mezzo, sento che è arrivata l’ora di provare a camminare con le mie gambe e mi metto a lavorare in proprio. Di lavoro all’inizio ne ho poco, ma per fortuna c’è la camera oscura che mi dà da vivere.

Dagli alberi alle rocce, Metamorfosi

Nel contempo quando ho un attimo di tempo libero, proseguo la mia ricerca sugli alberi, e in soli tre anni riesco a fare il mio primo libro: “Metamorfosi” con uno degli editori più importanti di quel periodo: Federico Motta. Finito con gli alberi attacco con le rocce.

Un lavoro affascinante, dove trovo forme con grande energia, che sembrano risalire alla genesi dell’umanità. Con l’avvento del digitale tutto cambia, e io, come tanti altri fotografi della mia generazione, vado in crisi esistenziale. Mi rendo conto che il bianco e nero tradizionale è destinato a scomparire, e così il mio lavoro di stampatore.

Ma non tutto il male viene per nuocere: riemergo dalla camera oscura che mi aveva assorbito troppo, e riprendo a fotografare. In quegli anni ricominciano le mie collaborazioni con giornali e riviste, e divento giornalista pubblicista. Nel frattempo continuo a portare avanti i miei progetti di fotografia di ricerca, che cerco di finalizzare dopo due o tre anni, in un libro e in una serie di mostre.

Piano piano mi allontano dal bianco e nero tradizionale, che considero come una fidanzata che in qualche modo ha tradito i miei sogni. In compenso ora posso trasferire le mie conoscenze di camera oscura nell’elaborazione delle immagini digitali, cercando di sfruttare appieno le capacità di questo nuovo mezzo.

Tin Dreams e Microstorie di archeologia contemporanea

È in quel periodo che nasce il mio progetto Tin Dreams: vecchie scatole di latta comprate su ebay, che poi ambiento dal vero in natura, facendo proseguire lo scenario interno alle scatole all’esterno. Le sorreggo con bastoncini, che poi cancello in postproduzione.

Sembra una impresa impossibile trovare dove ambientarle, ma ogni volta sembra venirmi in aiuto una entità superiore che mi guida in quei luoghi, dove questi sogni possono diventare realtà. Alcuni anni dopo nasce un progetto a cui sono particolarmente affezionato: “Microstorie di Archeologia Contemporanea” un progetto realizzato in una discarica.

Il pensare a tutti quegli oggetti buttati via, che invece un tempo erano oggetto del nostro desiderio, mi fa venire voglia di ridare loro una dignità, e di provare a renderli belli e affascinanti. È così che in sei mesi creo un progetto in cui racconto la vita di ognuno di noi, attraverso quello che buttiamo via, dalla nascita alla morte.

Ma ripensandoci, non c’è uno dei miei progetti a cui non sono rimasto affezionato, ora ad esempio sto lavorando a un progetto sugli Origami, che nonostante la difficoltà di realizzazione mi sta dando molte soddisfazioni. All’inizio mi sono affidato a una amica psicologa per la loro costruzione. Ma ahimè, stremata dalle mie richieste di origami sempre più difficili, dopo qualche mese mi ha abbandonato.

Cha fare allora? Mollare tutto, o cercare di imparare a farli in prima persona rendendo questo progetto ancora più mio? Ho optato per la seconda opzione, e devo confessarvi che dopo qualche crisi iniziale di nervi, ho imparato tante cose, ma la più importante l’arte della pazienza e la consapevolezza che nessun traguardo è irragiungibile, ma solo una questione di tempo. Oggi quando realizzo un origami, non mi pongo più la domanda di quante volte dovrò ripeterlo, ma vado avanti fino a quando riesco a realizzarlo.

Cosa mi proporrà il futuro? Ancora non lo so, o forse si : questa bella intervista con voi!

Se aveste voglia di leggere qualche simpatico racconto sulla mia vita professionale , ho editato un simpatico libro inerente le mie avventure e disavventure di fotografo, con anche delle belle immagini fotografiche.

Lo potete trovare in libreria, o anche su Amazon: Alberto Bortoluzzi : “Piccole Storie di Fotografia e Dintorni”.

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