(Adnkronos) – L’ultima conquista è arrivata un mese fa. La Trump Organization sta discutendo i dettagli di un contratto che potrebbe portare gli edifici con il marchio del presidente americano in Arabia Saudita. Il progetto è gestito dal fondo sovrano del principe Mohammed bin Salman e ha un valore di 63 miliardi di dollari: prevede lo sviluppo di Diriyah, storica città del regno, che nei prossimi anni potrebbe trasformarsi in una destinazione turistica con alberghi di lusso, centri commerciali con marchi internazionali e uffici. A questo però si è di recente unita una sconfitta: un progetto che sembrava sicuro, lo sviluppo di un hotel a Belgrado, è invece stato fermato: la società del genero di Trump, Jared Kushner, ha deciso di ritirarsi dalla costruzione dell’edificio da 500 milioni di dollari dopo l’apertura di un’inchiesta sul presidente serbo Aleksandar Vucic, amico personale di Trump, e diverse manifestazioni e proteste.
L’impero immobiliare della famiglia Trump è gestito dai figli Eric e Donald Jr. e comprende decine di alberghi e uffici, campi da golf e casinò, ed edifici a marchio Trump a cui il presidente dà in licenza il suo nome. Con un valore compreso tra il miliardo e i 2,6 miliardi di dollari, la divisione che si occupa di real estate è da sempre la più redditizia per Trump, nonostante diverse analisi indipendenti abbiano sottolineato la tendenza a gonfiare il vero valore delle proprietà.
Solo di recente il valore della divisione è stato superato da quello delle cripto, dove la Trump Organization ha guadagnato miliardi di dollari negli ultimi due anni. Tra gli asset di maggior valore ci sono alcune partecipazioni in edifici iconici di New York, tra cui la Trump Tower, dove Trump ha annunciato la sua candidatura alle primarie del partito repubblicano nel 2015, e 40 Wall Street. Ci sono poi golf resort, come quelli di Mar-a-Lago e Doral, entrambi in Florida. E infine le proprietà internazionali che da quando Trump è presidente sono aumentate. Proprio nella Trump Tower, che secondo Forbes ha un valore di 95 milioni, Trump possiede la penthouse, che prima del suo trasferimento in Florida era il suo quartier generale.
Secondo un documento della non profit progressista Citizens for Responsibility and Ethics in Washington, nel corso della seconda presidenza la Trump Organization ha in progetto lo sviluppo di 23 progetti a suo marchio in tutto il mondo, in Paesi come Oman, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. E ancora India, con otto progetti, Vietnam, Uruguay, Qatar, Romania e Maldive. In alcuni di questi progetti le società di Trump lavoreranno con delle aziende locali e dovranno ricevere permessi direttamente dai governi. Tra questi progetti, secondo il sito dell’azienda di Trump, quello alle Maldive prevede la costruzione del “primo tokenized hotel”, in cui gli investimenti sono fatti attraverso criptovalute. E dopo l’inaugurazione del Trump Hotel di Jeddah, sul Mar Rosso, ora la Trump Organization lavorerà con lo stesso costruttore, Dar Global, allo sviluppo di un nuovo edificio in Arabia Saudita del valore di un miliardo di dollari.
A partire dal primo mandato Trump era stato più volte attaccato per la possibile commistione tra affari privati e la sua posizione di presidente degli Stati Uniti. Non esiste una legge sul conflitto di interesse del presidente americano, ma le Emoluments Clauses, due leggi anticorruzione, prevedono che i funzionari statali e in particolare il presidente non siano influenzati dai governi stranieri ricevendo regali, soldi, contratti. Di recente la decisione di Trump di accettare in regalo un nuovo aereo presidenziale del valore di 400 milioni da parte del Qatar ha fatto molto discutere analisti e costituzionalisti. Oltre a questo, molti osservatori hanno criticato Trump per i suoi rapporti personali con decine di leader internazionali e lo sviluppo di campi da golf e palazzi in tutto il mondo. “I continui tentativi dei media di costruire ad arte accuse di questo tipo sono irresponsabili e contribuiscono a rafforzare la sfiducia dell’opinione pubblica in ciò che legge”, ha detto in una conferenza stampa a novembre la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt. Trump sostiene invece di non aver alcun ruolo diretto nelle sue aziende che sono gestite dai figli.
Donald Trump ha iniziato la sua carriera nel settore immobiliare all’interno dell’impresa di famiglia, fondata dal padre Fred Trump, attiva principalmente a Brooklyn, nel Queens e in altre aree periferiche di New York. Dopo aver frequentato i primi due anni di università al Fordham College, Trump si è trasferito alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, dove si è laureato in economia nel 1968. Negli anni Settanta, Donald è entrato nell’azienda di famiglia, assumendo progressivamente un ruolo più operativo. Il padre si era concentrato per decenni sulla costruzione di case e complessi residenziali a prezzi accessibili, spesso in collaborazione con programmi di edilizia agevolata. Donald ha proposto un cambio di strategia, spostando l’attenzione verso Manhattan e progetti con maggiore visibilità. La transizione è avvenuta con il supporto diretto del padre, che ha garantito finanziamenti bancari e ha continuato a seguire da vicino le attività della nuova fase dell’azienda, pur mantenendo un approccio più cauto rispetto al figlio.
Il primo progetto di Trump a Manhattan risale alla metà degli anni Settanta, quando ottenne la ristrutturazione dell’Hotel Commodore, un edificio in stato di degrado nei pressi di Grand Central. Per realizzarlo, il tycoon negoziò un complesso accordo con il Comune di New York, che prevedeva agevolazioni fiscali pluridecennali in cambio del rilancio dell’area. L’operazione, condotta insieme alla catena alberghiera Hyatt, fu uno dei primi esempi della sua capacità di intrecciare interessi pubblici e investimenti privati. L’hotel, riaperto nel 1980 come Grand Hyatt, segnò l’ingresso ufficiale di Trump nel mercato immobiliare di Manhattan. Il progetto fu anche un primo esempio del suo stile: visibilità, ristrutturazioni ambiziose e forte attenzione al ritorno mediatico. Dietro le quinte, il sostegno finanziario e politico del padre rimase un elemento decisivo, anche se Donald iniziò a presentarsi come figura indipendente, intenzionata a costruire un marchio personale
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