No/Lo Manifesto del bere senza alcool è un libro che punta a illustrare alternative consapevoli, senza demonizzare l’alcool ma nemmeno a farne propaganda e marketing.
Vino, alcool, panettoni, spumanti ne abbiamo. Passata la prima tranche di feste, è tempo di fare “resistenza”. Dai partigiani del parmigiano e delle salse, dei brasati e delle vigilie con ampie alternative di mare, siamo al desiderio di fare penitenza (almeno fino al 31).
In pratica, dall’apologia del trimalcionismo, fosse anche per due giorni, siamo avvolti da un desiderio monacale di rinuncia, di garattiniana sobrietà detox, tutti talebani del benessere e del Fronte disarmato contro gli zuccheri.
Ora, mettendo per un attimo da parte le stucchevoli apparecchiature dei cafonal, quelle più dannose di alcool e zuccheri messi insieme, riposte le carte del Mercante in fieri e sfanculata definitivamente la pagoda, torniamo a noi. Un po’ di ripresa è necessaria, forse più del Pil, senonaltro per andarsene a zonzo, tra maranza e borseggiatrici in metro, con quel minimo di reattività, per dar loro una zampata “al bisogno”, che a panza piena riesce male.
Tra vini dealcolati, di molto simili al coitus interruptus e la birra analcolica, decisamente più gradevole ma sempre a troppo tutto gas e zuccheri, si afferma con sensuale attrazione (un po’ come anni fa con il termine reducetarian) l’espressione no/lo, il nuovo palcoscenico del no-alcool/low-alcool la cui diffusione di questi prodotti è vista ancora con sospetto.
Soprattutto in un paese come il nostro dove l’aperitivo e il brindisi sono come il cappuccino del film Una vita difficile: la rivoluzione si ferma, basta che si trangugia.
Certamente, però, in Italia, cambiare abitudini, soprattutto quelle pessime, e fare la rivoluzione è dura. Ci si scontra sempre con qualche gretino e gretina che di buon senso, manco a saperne. Ma c’è un libro che si potrebbe scandire con uno slogan “analcolizzati di tutto il mondo, unitevi” e brindate con la cioccolata calda, soprattutto di questi tempi (e magari a Capodanno non rompete i coglioni co’ sti botti che prima o poi vi parte un dito).
No/Lo, Manifesto del bere senza alcool edito da Enea Edizioni (286 pagine, 20€) di Riccardo Astolfi nasce con l’obiettivo di proporre la scelta analcolica e “decontaminare” ogni abitudine, tradizione o certezza legata al consumo di alcool.

Bolognese di nascita, ingegnere di formazione ricercatore e innovatore del cibo per vocazione, ha organizzato insieme a Nicolò Pagnanelli e La Sobreria “No/Lo Bolo”, prima fiera in Italia dedicata alle nuove frontiere dell’analcolico.
No/Lo, Manifesto del bere senza alcool: che libro è?
No/Lo, Manifesto del bere senza alcool non è il classico libro che sfoggia un salutismo hippy da riccastro annoiato con tentazioni vegan in salsa new-age. Non è marketing millantato da qualche produttore di erbe esotiche.
E se il brindisi non fosse un obbligo sociale ma una scelta consapevole? Questo libro non è un ricettario né un manuale tecnico: è un breviario da tenere sul comodino, da aprire e riaprire, per allenare il gusto e la presenza.
Pagina dopo pagina smonta i miti più tenaci (“un bicchiere fa bene”, “senza alcol non c’è festa”), propone un nuovo vocabolario sensoriale e una mappa delle famiglie No/Lo (no e low alcol: kombucha, verjus, fermentati, infusioni botaniche ecc.) per orientarsi tra alternative vere, non imitazioni tristi.
È filosofia quotidiana con i piedi ben piantati nella pratica: come dire “no grazie” senza giustificarsi, come abitare la convivialità da presenti, come cercare piacere senza anestesia. Non troverai classifiche, rating o ricette, ma esercizi di attenzione, storie, esempi e strumenti per scegliere il bicchiere giusto (anche vuoto). La sobrietà non toglie: aggiunge. Libertà, prima. Poi, il gusto.
Qui siamo di fronte a una riflessione che davvero, in un’attualità che oscilla tra l’osceno e il patetico, soprattutto quando ci sbatte nel piatto all’ora del desco pubblicità che fanno cagare perché quello promuovono, è rivoluzionaria perché asserisce: l’alcool non è inevitabile e come la sigaretta elettronica, puoi essere un figaccione pure se sobrio.
Con buona pace delle adorazioni per il divin Bacco che in Italia valgono più di una messa e Parigi messe assieme, Astolfi ha preparato un vero kit di strumenti per navigare quella che prima può essere percepita come una rinuncia e poi vissuta come una nuova abitudine.
Non solo una buona nuova abitudine. Ma una vera e propria trasgressione che se ne impipa del Made in Italy e di quella famigerata retorica che ci vorrebbe “imbriachi e felici”.