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Il buco nell’ozono, dall’Antartide all’Artico, cosa sta accadendo?

Il buco nell'ozono, dall'Antartide all'Artico, cosa sta accadendo?
Foto Pixabay

In Antartide è in atto, pare, una lenta chiusura del buco nell’ozono. Una risultato che sembra una conseguenza di quello che viene definito protocollo di Montreal, un trattato internazionale che risale al 1987, basato essenzialmente sull’eliminazione della produzione di sostanze dannose per l’ozono come i clorofluorocarburi (CFC) e i idroclorofluorocarburi (HCFC)

Il Protocollo di Montreal 1987, voluto dall’UNEP, il Programma ambientale delle Nazioni Unite. ed entrato in vigore nel 1989, prevedeva l’impegno di 197 per il contenimento di produzione e consumo di sostanze dannose per la fascia d’ozono stratosferico.

Le sostanze dannose, ricordiamolo, sono:

  • halon
  • tetracloruro di carbonio
  • clorofluorocarburi
  • idroclofluorocarburi
  • tricloroetano
  • metilcloroformio
  • bromuro di metile
  • bromoclorometano

In uno studio recente sull’Antartide pubblicato sulla rivista Nature, la chimica Antara Banerjee, coadiuvata da un team di ricercatori dell’Università del Colorado Boulder,  ha dimostrato la validità a tutti gli effetti del Protocollo di Montreal. In che modo?

Sono tornati allo scenario precedente all’anno 2000, quando una ‘cintura’ di correnti d’aria, la cosiddetta corrente a getto di media latitudine, si è gradualmente spostata verso il Polo Sud. Nello stesso periodo, un altro flusso tropicale, la cella di Hadley, è diventato sempre più forte e spesso. Quindi analizzando i modelli di circolazione dell’aria, hanno scoperto che il buco nell’ozono si è fermato dal 2000 e si starebbe restringendo.

Antara Banerjee, che lavora nella divisione di scienze chimiche della National Oceanic and Atmospher Administration (NOAA), ha ricordato:“Questo studio si aggiunge alle crescenti prove che dimostrano la profonda efficacia del protocollo di Montreal. Non solo il trattato ha stimolato la guarigione dello strato di ozono, ma sta anche guidando i recenti cambiamenti nei modelli di circolazione dell’aria nell’emisfero meridionale”, come ha detto l’autore principale (Fonte: EurekaAlert).

Il buco nell’ozono, gli effetti della sua riduzione sugli esseri umani e sull’ambiente

Il buco dell’ozono è il progressivo assottigliarsi dello strato di ozono presente nella stratosfera, uno dei cinque strati di cui è composta l’atmosfera terrestre. La stratosfera assorbe i raggi ultravioletti del Sole e, proprio grazie allo strato di ozono, ne trattiene la maggior parte.

L’aumento delle radiazioni UV sulla superficie della terra causano  i seguenti problemi:

  • l’incremento di determinati tipi di tumore della pelle, della cataratta e dei disturbi di deficienza immunitaria. Le radiazioni UV incidono negativamente anche sugli ecosistemi terrestri e acquatici, alterando la crescita, le catene alimentari e i cicli biochimici.

E il buco nell’ozono in Artico?

Il buco dell’ozono da record nell’Artico dovrebbe chiudersi a metà aprile: lo hanno rivelato gli scienziati del German Aerospace Center (DLR) che monitorano i dati del satellite Copernicus Sentinel-5P , gestito dalla Commissione Europea e dall’Agenzia Spaziale (Esa). Diego Loyola, dell’agenzia spaziale tedesca (DLR) con la collaborazione del satellite Copernicus Sentinel-5P gestito dalla Commissione Europea e dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) ha commentato: “Sono stati già individuati in passato dei piccoli buchi nel Polo Nord, ma quest’anno la riduzione è molto più sostanziosa rispetto al solito, con il suo milione di chilometri quadrati, il buco in Artico è comunque molto ridotto rispetto alla voragine del Polo Sud, che si estende per circa 20-25 milioni di chilometri quadrati con una durata media di 3-4 mesi”. (Fonte: Esa).

Tropomi è lo strumento integrato nel satellite Copernicus Sentinel-5P, per analizzare la riduzione nei livelli dell’ozono in atmosfera nell’Artico. Un andamento che, se diventasse costante, permetterebbe all’ozono di ripristinarsi nell’emisfero nord per il 2030, nell’emisfero australe per il 2050. Per le regioni polari invece bisognerà aspettare il 2060.

Articolo curato dalla redazione e realizzato con il contributo di Manola Testai.

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